
C’erano la lava e c’erano le fiamme. E c’erano gli uomini che le temevano. C’era Efesto da un lato e Vulcano dall’altro, che con portentosi colpi di maglio facevano tremare le terre e sussultare gli spiriti degli uomini, miseri. E c’erano i lampi che squarciavano il cielo e i ruggiti che facevan loro eco. E tra i fiumi di fuoco e le scintille accecanti, superbi i due Dèi regalavano all’uomo incredulo, la loro compagna più fedele: la Lama.
Fu
quando ancora le mani degli uomini non venivano sporcate con il
sangue dei propri simili che il bisogno di cacciare, di levare le
pelli alle spoglie delle prede per coprirsi e non ultimo quello di
difendersi dai predatori, spinse l’uomo ad inventare il primo
utensile che sia mai stato usato. Così, picchiando
faticosamente una selce con delle pietre, venne
costruito il primo coltello, segnando l’inizio di quella che in
certe nazioni è ormai un’arte suprema. Mentre le mani
fungevano da incudine e i sassi da martello, i primi coltelli furono
scolpiti in rocce laviche vetrose, o con l’utilizzo di pietre
rigide e poco friabili. La forma era semplice, solitamente
triangolare
per permettere una buona durata dell’utensile ricavato
originariamente da svariate ore di lavoro e ricerca e per
agevolare la sua costruzione in quanto era facile ottenere una forma
di base semplicemente rompendo un pezzo del materiale prescelto
(specie se ossidiana o simile). Il filo veniva ottenuto scheggiando
lentamente la pietra con una roccia più dura, generalmente
appuntita, in modo da creare un filo seghettato e per questo più
facile da rendere tagliente. Poco dopo iniziarono ad essere in uso lame ricavate dalle ossa delle prede abbattute. Queste,
sebbene solitamente meno taglienti, avevano il grande pregio di
essere decisamente più leggere e meno soggette alle fratture a
causa di colpi o cadute. Mano mano che la civiltà
avanzava velocemente, questi utensili ormai divenuti indispensabili,
vennero forgiati in vari materiali, per finire poi al ferro ed agli
acciai; il coltello veniva ormai rappresentato come vessillo di
potere e di valore, nelle raffigurazioni del guerriero era solito
riscontrare l’immagine del coltello in piena vista, in un
secondo momento arricchito di fregi e gemme sull’elsa. E’al
1057 che risale in Italia la prima corporazione dei Gremi dei fabbri,
artigiani che appresero i segreti dell’arte di forgiare le lame
dai Templari tornati dal loro viaggio nell’oriente. In questo
momento, tra fiamme e ceneri, in Italia inizia a stabilirsi il culto
del coltello stesso, con una sempre crescente curiosità per le
“mistiche” lame dei popoli che da tempi più
antichi avevano imparato queste arti, come nel Giappone feudale o
nella Spagnola Toledo. Ingenti somme di danaro furono spese dai
magnate dell’epoca per inviare i propri messi in quelle remote
regioni al fine di svelare al popolo Italico i segreti della
forgiatura, ma fu solo nel 1643 che anche nel nostro Paese,
finalmente, si lesse uno scritto che riportava le 12 prove che
avrebbe dovuto superare un coltellinaio degno di tal nome.
A quell’epoca il
coltello era ormai presente in ogni famiglia, affidato anche ai
ragazzi più giovani per difesa della persona o per effettuare
gran parte dei lavori di campagna. Il coltello aveva ancora una forma
piuttosto semplificata, in gran parte dipendente dalla regione in cui
era stato forgiato, ma esistevano nelle famiglie più agiate,
dei coltelli ormai considerabili manufatti di enorme valore,
intarsiati in oro e gemme e portati visibilmente alla cinta dai
benestanti. Questo tipo di coltello, a differenza di quello da lavoro
che variava molto a seconda della nazione, è molto simile
nelle varie regioni: si tratta infatti generalmente di uno stiletto,
ossia un coltello a lama triangolare con angolo molto basso, lungo
attorno ai 15 cm e non più largo di due dita alla base,
provvisto di una piccola guardia e fodero generalmente rigido, ornato
allo stesso modo dell’impugnatura. Spesso, nelle casate più
lussuose, nell’elsa veniva inciso il simbolo della famiglia. E’ proprio in
questo periodo che, nelle varie nazioni (principalmente Italia,
Spagna e Medio Oriente e Norvegia) vengono sviluppate e rifinite
definitivamente le varie forme delle lame tipiche: mentre però
gli altri paesi si uniformano nella produzione di tipi di coltelli
molto simili tra loro all’interno della Nazione, con
l’istituzione del classico norvegese con manico in legno duro
stagionato, collarino in ottone e lama sottile, o la Navaja spagnola
estremamente sottile e accuminata o sempre per la Spagna il coltello
da caccia con manico in cervo a doppia lama; in Italia si sviluppa
una passione per l’acciaio che darà vita negli anni a
seguire alla nazione che vanta il maggior numero di coltelli tipici
al mondo:
Le principali regioni che si sono mosse in questo senso sono state la Toscana, la Sardegna e,
per quanto riguarda in particolare il coltello di stampo militare, il
Friuli.
Per quanto riguarda la
toscana, il coltello tipico è simile alla Navaja Spagnola, ma
nel caso del coltello Italiano, questo è privo del blocco alla
lama come accade per il cugino iberico. Il coltello viene
generalmente costruito con il manico in legno levigato, solitamente
legno di noce o di ebano, cui vengono fermate le guancette con
semplici rivetti in ottone. La lama appare spesso più lunga di
quanto si lascerebbe supporre in base al manico e si mostra sottile
ed accuminata. Questo tipo di coltello incontra spesso e volentieri
la sua degna sposa nella Fiorentina, e viene anche detto per questo, coltello da
bistecca o da tagliata.
Un altro coltello toscano, quasi Fiorentino, è il coltello di Scarperia, un coltello simile al
tipico chiudibile sardo (Pattadese) ma con delle differenze ben specifiche. In questo coltello
infatti, le guancette sono in osso nero o legno di ebano. Lo scarperia è
decisamente un ottimo coltello da lavoro, il manico accompagnato da
un colletto spesso, garantisce buona durata dell’utensile anche
se lavori medi e il manico spazioso risulta molto comodo. Altro
coltello regionale Italiano molto conosciuto
appartiene alla Sicilia, conosciuto con il nome di liccasapuni,
dato
l’uso che gli veniva destinato anticamente di tagliare il
sapone venduto a peso. Questo tipo di coltello è
caratterizzato da una lama molto lunga e affusolata, particolarmente
appuntita, tanto da aver conquistato la fama di coltello dei banditi,
o da difesa personale, nella regione. Per quanto riguarda la
produzione di coltelli Sardi, invece, le forge sono piccole,
laboriose ed estremamente variegate. Fondamentalmente si possono
distinguere 3 tipi diversi di coltello tipico; la Guspinesa
(originaria di guspini), l’arburesa (di Arbus) e la Pattadesa
(ribattezzata Pattadese per italianizzarne il termine, originaria di
Pattada). La guspinesa, forse la
meno conosciuta in campo nazionale, è un coltello particolare,
con un disegno a lama larga e punta squadrata che accenna verso
l’esterno con una poco accentuata curvatura; il disegno è
molto simile a quello di una lametta e lo scopo principale di questo
coltello veniva trovato nell’innesto e nella lavorazione del
legno, anche se il disegno ne garantiva l’utilizzo anche come
lametta per la barba. Generalmente l’osso
usato è scuro, meglio se con segni rossi dovuti allo
scontrarsi dei corni nelle lotte tra animali; l’acciaio ben
temprato con una durezza però non eccessiva, in modo da tenere
un filo e
stremamente
tagliente e facilmente riaffilabile. L’arburesa,
sicuramente più conosciuta della precedente, è
caratterizzata da un’impugnatura particolarmente solida, ma non
per questo tozza; la lama parte stretta al ramo di guardia per poi
allargarsi notevolmente verso il taglio del dorso, e concludere in
una punta “panciuta” . L’osso utilizzato è
da regole chiaro, il manico e le guancette unite con lo stesso
materiale del collarino che solitamente è ottone; la chiusura
deve essere forte, difficile da aprire, più morbida a mezza
corsa e nuovamente difficile da fermare all’apice; questo si
ottiene artigianalmente tramite un accuratissimo lavoro di lima nella
parte di lama che sta attorno al foro nel quale si inserisce il perno
del manico, e ad esser sincero ho trovato fin ora solo due artigiani
in grado di effettuare un lavoro simile. La pattadese, infine, è
uno dei coltelli artigianali maggiormente
conosciuti
in ambito mondiale; la sua linea è decisamente più
elegante dei precedenti, pur restando in effetti un coltello da
lavoro puro, resistentissimo se usato nella giusta maniera e con una
necessità di cura veramente ridotta. Il manico è da
regola in corno di muflone chiaro, senza screziature né segni
di lotta, con le venature che vanno parallele all’andamento
della lama. La parte inferiore del manico è leggermente
ricurva verso l’interno e bombata a mano, in modo da risultare
non in una semisfera ma in una sorta di parallelepipedo, con al
centro il chiodino di chiusura tra le guancette. La lama è
chiara, satinata anch’essa parallelamente alla lama (motivo per
cui non si può eseguirne la satinatura a macchina) e con una
curvatura non troppo accentuata che si conclude in una punta m
olto
accuminata. Il dorso mostra una netta deviazione d’angolo che
ne caratterizza ancor più la linea. Il collarino è in
ottone, semplicemente lavorato a zigrino, e di norma senza altri
abbellimenti. Il coltello è di solito
custodito in un fodero in velluto, rosso o verde. Per quanto riguarda il
coltello sardo fisso, infine, faccio un breve accenno alla leppa,
utilizzata per secoli come arma di difesa: secondo la tradizione
infatti questo oggetto non ha altra utilità se non quella.
Veniva portata sul fianco di solito senza fodero. E’ una sorta
di sciabola, non troppo curva e abbastanza pesante ma le volte che mi
sono trovato ad impugnarla mi sono reso conto che è un’arma
bilanciatissima e potenzialmente facile da utilizzare, che riesce tra
l’altro a concentrare un’enorme forza sul filo. Il manico
è semplice, in legno, corto tanto da farci stare solo una
mano; la lama veniva spesso lavorata con segni stilizzati,
estremamente simili a quelli utilizzati dai Nativi Americani e, in
caso di uccisione di un avversario, veniva spesso punzonata con un
asterisco. Nell’alta Gallura,
invece, vi era l’egemonia del coltello tempiese, anch’esso
simile a un coltello Indiano: la l
ama
lunga e accuminata era forgiata non in forme sinuose ma in angoli
netti; robusto e tuttofare questo coltello può essere
classificato come il vero coltello da caccia sardo. Il manico è
di norma in osso più scuro rispetto alla pattadese, il cui
dorso viene abbellito da una serie di motivi stilizzati, spesso da
serie successive di tratti uguali. Devo ammettere che, sebbene abbia
una buona quantità di ottimi coltelli da caccia, portare al
mio fianco un coltello simile a questo, dà alla giornata tutto
un altro aspetto. La lama è
generalmente molto lunga, usata spesso anche per l’abbattimento
di animali domestici, con la stessa funzione dello scannino Bolognese
(il quale non può essere considerato un coltello tipico
emiliano, tuttavia ricopre nella regione il principale ruolo nelle
macellerie e negli allevamenti, in particolare non aziendali).Come detto in precedenza,
per quanto riguarda i coltelli artigianali, il nostro paese è
quello che offre una maggiore varietà di forme, materiali e
funzioni, attestandosi a livello mondiale in numerosissime fiere e
giornali anche non Europei. A parte i coltelli trattati, c’è
da dire che quasi ogni regione possiede almeno un coltello tipico:
- Abruzzo : Abruzzese, Aquilano, Coltello alla romana, Gobbo di Loreto Aprutino, Roncola abruzzese.
- Trentino-Alto Adige : Altoatesino.
- Campania :Amore, Coltello da pastore di Sparanise, Napoletano, Sfarziglia napoletana, Zompafuosso.
- Marche : Anconetano.
- Sardegna :Arburese, Guspinese, Leppa, Pattada, Pattada foggia antica, Resolza/Arresojas/Rasojo, Tempiese.
- Basilicata : Balestra.
- Lombardia : Bergamasco, Castrino, Maresciall, Roncola valtellinese.
- Sicilia : Birittedda, Caltagirone, Catanese, Cuteddu ammanicatu, Lapparedda,Liccasapuni, Messinese, San Fratello/Sanfratellano, Saraga, , Scannaturi, Sfilato siciliano.
- Calabria : Calabrese, Coltello del frate, Roncola calabrese, Vopa.
- Emilia-Romagna : Imolese, Parmense, Ravennate, Riminese, Romagnolo, Roncola romagnola, San Potito, Saraca romagnola
- Lazio : Coltello alla romana, Romano, Romano d'ottone, Roncola romana.
- Toscana : Coltello da caccia di Scarperia, Fiorentino, Maremmano, Mozzetta di Scarperia, Palmerino, Palmerino a due lame, Senese, Svitaluminelli, Tre Pianelle, Zuava di Scarperia.
- Friuli-Venezia-Giulia : Filuscina o Filiscina, Marinera, Mozzetta di Maniago, Zuava Maniago, Coltello a scatto di Maniago.
- Piemonte : Frabosan, Roncola piemontese, Vernantin, Puragnin, Garessin, Piemontese, Barachin.
- Liguria : Genovese, Masunin.
- Molise : Molisano, Mozzetta di Frosolone, Zuava di Frosolone, Coltello a scatto di Frosolone.
- Puglia : Il Martinese.
- Valle d'Aosta :Ronchetto.
Per quanto riguarda la produzione friulana, invece, questa si è rivolta in particolar modo alla grande distribuzione, a partire dall’inizio del ‘900, forgiando armi di prima qualità che equipaggiano buona parte dei reparti armati d’europa. Tra le fabbriche maggiori ci sono infatti la Fox e la Viper, che creano coltelli di prima scelta e dai prezzi relativamente ridotti, utilizzando quasi per la totalità materiali Italiani e la cui manodopera è rigorosamente legata alla regione. La Extrema Ratio costruisce invece i coltelli per le forze speciali Italiane, Francesi, Tedesche e Inglesi, utilizzando materiali che vengono considerati tra i migliori al mondo; la casa ha una linea inconfondibile, data da spigoli piuttosto accentuati e manici in tecnopolimeri. L’azienda ha il grandissimo pregio di averr lanciato sul mercato l’acciaio al carbonio N690Co, che reputo, considerandone anche il prezzo, uno dei migliori materiali per coltelli ora in circolazione. Il coltello indistriale presenta numerose differenze rispetto al coltello artigianale, soprattutto per quanto riguarda i materiali. Se, infatti, i coltelli artigianali sono costruiti dai più svariati tipi di acciaio (negli ultimi anni viene utilizzato in Sardegna soprattutto l’acciaio inox 440C, i carboniosi 1095, D2, A2, l’inox V10 in casi di coltelli pregiati), nel campo delle industrie Italiane questo è il punto debole forse maggiore: se è infatti vero che l’acciaio più utilizzato, il semi-carbonioso N690Co (lanciato da qualche decennio dalla Extrema Ratio e utilizzato a seguire da Fox, Viper, ColMoschin, ecc.) è un ottimo acciaio che rappresenta un compromesso di alto livello tra durezza elevata, buona capacità di mantenere il filo e ossidazione pressochè nulla, è anche vero che è quasi insostenibile il fatto che tutte le più grosse industrie utilizzino gli stessi materiali, in particolare per quanto riguarda le lame. Questo, insieme ad un costo che a volte risulta piuttosto elevato in confronto al prodotto (come accade in moltissimi campi, a volte si paga la fama del marchio) è il principale motivo per il quale altre nazioni, su questo campo, stanno ottenendo risultati migliori rispetto ai nostri. Questo fatto, però, viene poco messo in risalto se si considerano i prezzi che possono avere, in Italia, coltelli di buona qualità di nazionalità diversa: questi hanno infatti prezzi la maggior parte delle volte proibitivi, per l’acquisto di un utensile; tuttavia controllando i cataloghi nelle nazioni di origine di quegli stessi coltelli, si trovano prezzi inferiori fino a circa il 70 % rispetto a quelli proposti nei nostri negozi. Basti pensare che, ad esempio, un coltello Spyderco (coltelli a serramanico con chiusura solitamente liner-lock, manicatura in G10 e lama in acciaio giapponese San-Mai o V1) che in Italia può costare un minimo di 140 euro, si trova nei cataloghi USA per circa 55 dollari, ai quali aggiungendo le spese di spedizione si arriva a un prezzo di circa 50 euro totali. I casi simili sono svariati, e in particolare per quanto riguarda coltelli americani di elevata qualità (ad esempio delle case Ontario, Blackjack, Tops, Spyderco) e Svedesi di qualita ancora superiore (soprattutto della casa Fallkniven). Questi ultimi, in particolare, sono forse i migliori coltelli industriali al mondo, hanno una linea classica con il manico per lo più in anelli di cuoio e le lame in svariati acciai. Per portare un esempio: il coltello più economico di questa linea in Italia attesta il prezzo attorno ai 370 euro (acciaio San-Mai V10, 62 HRC) più eventuali spese di spedizione, mentre comprando lo stesso articolo su altri cataloghi, si risparmiano circa 180 euro, arrivando circa al prezzo di un coltello Italiano di buona qualità ma che, purtroppo, non arriva in particolare per la scelta degli acciai, ad un’uguale resa. Nonostante questi difetti della produzione Nazionale, si può considerare l’Italia fra i migliori 5 produttori di coltelli industriali, preceduti appunto da Svezia e Giappone in primis, seguiti dagli USA. Per spezzare comunque una lancia a favore delle nostre produzioni, c’è da dire che al contrario delle altre Nazioni citate che importano l’80% dei materiali dall’estero (affermazione non valida per il Giappone che da secoli forgia i migliori acciai), i prodotti Italiani, nella stragrande maggioranza dei casi, vantano una produzione esclusivamente nazionale, così come la manodopera. In ogni caso, la quantità di materiali per la creazione dei coltelli è enorme, sia per quanto riguarda le lame che le manicature, e sarebbe bene utilizzare per ogni tipo di coltello materiali appropriati all’uso che se ne deve fare: è infatti poco utile, ad esempio per un coltello survival (quindi destinato ad un uso abbastanza pesante e che richiede diverse affilature) utilizzare un acciaio estremamente duro in quanto se è vero che manterrà più a lungo il filo, è altrettanto vero che in caso di una sbeccatura sarà molto difficile riportarlo alla forma originaria del tagliente. La scelta dell’acciaio, in ogni caso, è una cosa estremamente personale, la cui decisione deve essere presa (sempre parlando di un coltello di buona qualità in base a vari fattori; in linea di massima è preferibile:
Scegliere un acciaio che non abbia enorme durezza (bene attorno ai 57 HRC) per un coltello da utility-survival che quindi sarà usato anche per lavori pesanti: l’ideale per questo genere è normalmente un acciaio con buona quantità di Carbonio che presenterà un’ossidazione un po’ maggiore e avrà bisogno di cure rispetto ad un inox, ma si presterà meglio all’affilatura e non rischierà di frantumarsi in caso di impatto violento. Acciai simili sono appunto il 1095, l’A2, il D2, posti qui in scala crescente.
Preferire invece un coltello con durezza maggiore (58-59 HRC) se occorre un coltello da caccia utilizzato per mangiare/cucinare/sistemare le prede. In questo caso, per questioni di igiene, sarebbe bene utilizzare un acciaio inox, che sarà più difficile da affilare senza lasciare segni in quanto solitamente lucidato a specchio, ma non presenterà ossidazione e sarà dunque più pulito. Acciai del genere sono ad esempio il 440C, l’ N690Co, il Vg10.
Evitare il damasco carbonioso per i coltelli utility.
Considerare bene l’uso che si vuole farre del coltello in caso di acciaio al carbonio ad alta durezza (alcuni acciai Itachi arrivano a una durezza di 65 o addirittura 70 HRC) in quanto necessitano di grande cura, essere usati di frequente e accuratamente aciugati ed oliati dopo l’uso, sebbene siano gli acciai migliori come robustezza e durata.
Stesso discorso può essere fatto per quanto riguarda le manicature, per le quali il discorso è più semplice: in linea di massima, per i coltelli industriali, si hanno:
Manicature in Micarta per i coltelli utility. Questo materiale è formato da strati alternati di resine e fibre di lino incollati sotto pressione. Generalmente un po’ “tattico” all’occhio, offre grandissima resistenza (non si spacca neanche colpendolo violentemente, anche se si ammacca) enorme grip anche sul bagnato o con il caldo, costo ridottissimo. E’ la manicatura di punta di Case come la Fox e la Tops.
Manicatura in Kydex, Forprene per coltelli tattici. Manicature tipica dei coltelli militari; la prima di case USA e la seconda di case Italiane. Entrambi i tecnopolimeri sono piacevolmente pesanti (in particolare il Forprene che da una sensazione di compattezza) e molto robusti, garantiti per un uso in ambienti con temperature estreme. Offrono leggermente meno grip della micarta ma sono ugualmente solidi, praticamente indeformabili alle temperature alte e basse e buoni risultati estetici.
Manicature in legno o cuoio per coltelli da caccia: tipiche dei coltelli light utilityy e da caccia, le due manicature sono robuste (più robusta quella ad anelli di cuoio pressati) e molto eleganti. La prima è molto diffusa sia nei coltelli europei (meno in quelli americani) che in quelli giapponesi o norvegesi e i legni più utilizzati sono la betulla, la quercia e il cocobolo. La manicatura in cuoio è invece tipica di coltelli Svedesi o USA, estremamente robusta e a mio parere molto bella, ha il “difetto” di dover essere preparata con cura e materiali di prim’ordine: al contrario di una manicatura in legno che risulta abbastanza affidabile anche se non fatta ad arte, quella in pelle se non ben lavorata dà pessimi risultati.
Manicatura in corno. Nel 90% dei casi, nei coltelli industriali o semi-industriali il corno usato è di cervo, tipico in particolare di coltelli vintage americani (in particolare dei coltelli Blackjack) e ancor di più di quelli spagnoli, in particolare di casa Muela.
Per le restanti parti del coltello (pomolo, guida, guardia) possono essere utilizzati una grandissima varietà di materiali, fino ad arrivare all’oro e al platino in costosi coltelli di grandi maestri. L’ultima cosa da dire sui coltelli semi-industriali è che, al giorno d’oggi e soprattutto comprando all’estero coltelli soprattutto svedesi (Fallkniven), si riesce ad avere una qualità rara a prezzi relativamente contenuti se andiamo a vedere il prezzo di un coltello artigianale costruito con gli stessi materiali e una sensazione se non uguale molto simile a quella di avere in mano un coltello artigianale. Un discorso che ha da sempre creato discussioni tra gli amanti dei coltelli è il modo dell’affilatura; questi possono essere:
Con pietre naturali: per gli amanti della tradizione, si usano pietre di fiume o pietre morbide con al loro interno cristalli di minerali più duri (come il quarzo). Conferiscono un’affilatura unica anche se non del tutto omogenea. Le migliori pietre naturali sono le pietre indiane (pietra dell’arkansas) utilizzate per lo più con l’ausilio di oli come lubrificanti, normalmente composti per metà di gasolio e metà di paraffina liquida.
Con pietre sintetiche: sono ricavate industrialmente dalla manipolazione di vari materiali (ceramiche, ossidi vari) e conferiscono un’affilatura sottile e molto omogenea. Sono generalmente utilizzate con l’acqua che ha anche la funzione di trattenere le parti del metallo limate che contribuiscono al processo di affilatura.
Pietre diamantate: anch’esse industriali sono create aggiungendo ossido di zirconio (lo stesso materiale che viene usato per alcuni coltelli da cucina di grande qualità, i cosiddetti coltelli in ceramica) e stanno avendo un buon successo in questi ultimi anni. L’affilatura è di solito piuttosto buona, con l’utilizzo di acqua come lubrificante, ma hanno a mio parere il difetto di costare troppo (circa 18-20 euro) e una durata molto limitata in confronto alle pietre dell’arkansas (spesso si rovinano dopo 7-8 affilature).
Particolarmente
importante è infine, dal mio punto di vista, l’instaurarsi
dai primi anni del ‘700 a oggi, di leggende, superstizioni e
detti riguardo al coltello, che ne sottolineano la sua importanza nel
mondo rurale. Alcuni di questi hanno radici così sperdute e
profonde da non poter essere rintracciate, altre sono detti popolari
tipici delle varie regioni. Tra i detti, il più
conosciuto credo sia quello secondo il quale il ricevente di un
coltello in regalo deve pagare l’oggetto per simulare un
acquisto, in quanto altrimenti la lama taglierà l’amicizia.
Altrettanto famoso è il detto secondo il quale, un coltello
deve tagliare come prima cosa della carta, o altrimenti sarà
un oggetto sfortunato; in questo caso il senso del proverbio è
che il tagliare la carta era considerata una prova della qualità
del coltello, che oltre all’affilatura ne testava la tenuta del
filo, e quindi un coltello che la tagliava senza rovinarsi era
considerato buono. In ogni caso, la
tradizione che più amo per quanto riguarda questi oggetti è
quella che lega le lame a una coppia di sposi: il “coltello
d’amore” infatti è un oggetto, o meglio una coppia
di oggetti che due fidanzati si scambiano con significati diversi:
donato alla donna simboleggia infatti l’augurio di prevalere
nella vita sociale e di difendere la fede nell’altro, mentre
donato all’uomo rappresenta l’impegno preso con la futura
sposa e il dovere dell’uomo di difendere la famiglia e l’onore
della stessa a tutti i costi. Per entrambi, infine, rappresenta il
significato rituale di sancire il legame della coppia. I coltelli d’amore
sono generalmente oggetti superbi, che vengono creati appositamente
da artigiani e sono veramente poche le case che li fanno a livello
industriale e in ogni caso le copie all’anno sono in numero
veramente esiguo. Caratteristica principale di questi coltelli è
il cosiddetto “occhio di dado” che orna il manico e che
ha il significato di allontanare il malocchio. Questi coltelli
venivano generalmente appesi sopra la testata del letto nella stanza
matrimoniale, e messi insieme alle spoglie dopo la morte. Non mi vergogno infine di
ammettere che, da appassionato di superstizioni e miti, non ho un
coltello che non mi abbia estorto una goccia di sangue: in molte aree
del globo (l’America dei Nativi, l ’inghilterra, la
Svezia e anche la mia regione) vi è infatti la credenza che un
coltello debba avere sul filo, almeno una volta, una goccia del
sangue del proprietario, o per essere più precisi “un
brandello d’anima”, in modo che il legame tra il padrone
e l’oggetto stesso sia indissolubile e che questo, dissetato,
non abbia bisogno di “mordere” più chi lo porta
con sé. E’ per questo che in civiltà legate a
queste tradizioni come alcuni posti qui, regalare un coltello
precedentemente appartenuto a sé stessi è segno di
enorme rispetto e affetto verso chi riceve il dono.
Tratto dal therad Coltelli i figli di efeso, cenni di storia, materiali,diffusione
Autore: Kyran