Quella mattina di dicembre il sole era rimasto nascosto dietro pesanti nuvoloni grigi che minacciavano costantemente di interrompere la nostra giornata di caccia. Già, ero a caccia! Ero riuscito a mollare tutti i miei impegni di lavoro e famigliari ed ero riuscito ad andare a caccia! A caccia con chi da sempre ha condiviso la mia passione e le mie emozioni, due persone che oramai avanti negli anni, hanno avuto la pazienza e la costanza di insegnarmi molto dell'arte della caccia: i miei zii.
Quella mattina avevamo deciso di andare a tordi e si era scelto, per l'occasione,uno dei versanti nord dell'Etna. La giornata era iniziata con un leggero vento di tamontana che faceva pentirsi un pò di avere abbandonato il caldo tepore delle coltri. Ma non c'era freddo che teneva. Eravamo a caccia e tutto il resto non contava.
Iniziammo la nostra battuta prendendo di buon passo un pendio che ci portò rapidamente ai piedi di una collina dove, come un vecchio addormentato, era un uliveto. Qui speravamo di fare qualche bel tiro a quei tordi che avessero scelto il posto per pasturare e ognuno di noi si scelse un posto dove aspettare il passo.
I minuti passavano e l'attesa cominciava a distrarre la nostra attenzione e per vincere il freddo mi cominciai a spostare prima su un piede, poi sull'altro , in una sorta di antica danza propiziatoria dei pellerossa americani che non sortiva però, nessun effetto.
La danza cominciò a diventare passo, e passo dopo passo mi ritrovai nella postazione che aveva scelto il più anziano dei miei accompagnatori. Si cominciò a commentare la giornata evidenziando l'assoluta mancanza di passo di quella mattinata che invece doveva essere tutt'altra cosa. Le chiacchere si inoltrarono , come succede di solito tra chi ha particolare confidenza, a lambire la sfera del privato e di li a poco fui messo al corrente che questo mio zio, che vantava trascorsi di ottimo cacciatore e che alla caccia aveva dedicato tutta una vita, era nello sconforto più assoluto poichè proprio dall'occhio con cui mirava, a causa di una patologia, vedeva pochissimo.
Ovviamente la sorpresa fu enorme e la voglia di tirarlo su fu pari. Si parlò di rimedi, interventi occhiali e quant'altro poteva tornare utile a far si che lui potesse ritornare l'ottimo cacciatore di un tempo.
Di lìa poco l la nostra discussione fu interrotta da un suono atteso, unico, familiare; di quelli che ti fa salire l'adrenalina e porta per istinto il cacciatore ad imbracciare ilfucile. Era lo zirlo di un Tordo.
Ambedue imracciammo il fucile e, per una frazione di secondo, feci fuoco prima del mio anziano compagno. Le fucilate quasi si unirono nel suono ma gli effetti no.La mia fucilata aveva deciso la fine di quella vita. Il tordo fermò il suo volo vitale e iniziò la sua discesa verso madre terra, e mentre i miei occhi accompagnavano l'ultimo volo del turdite, il mio anziano compagno mi chiese: "Cosa ho fatto?"
In quell'attimo realizzai che mio zio non si era reso conto che io avessi sparato ne tantomeno che avessi preso lo zirlante volatile. E subito replicai con tono andande tra il serio e il faceto: "Caspita zio! Bel colpo! lo hai preso in pieno....mi sa che tu li prendi anche ad occhi chiusi" ed andammo a recuperare insieme il tordo.
Raccolto il tordo lo consegnai al cacciatore di sempre congratulandomi ancora per il bel tiro, segno tangibile di una classe che non tramonta mai.
Il sorriso che solcò quella faccia, su cui il tempo aveva inciso la sua firma, mi confermò quello che già dentro di me sapevo: avevo detto la bugia più bella della mia vita di cacciatore.

LUDWIG