un bel messaggio –
16/04/2009,15:32
riporterò qui di seguito una discussione presa da un sito di caccia (che è anche una rivista alla quale sono abbanato da diversi anni).
il messaggio in questione è lungo ed è stato scitto da una persona che nn ocnosco direttamente ma che stimo molto come cacciatore, come giornalista e persona.......BRUNO MODUGNO.
lascio a voi i commetni e riporto solo parola per parola il suo messaggio.
dividerò il messaggio n 2 a causa della sua lungheza.
a presto.
Perché la caccia?
Di tanto in tanto il fronte anti-caccia e dell’animalismo più integralista, deluso dagli insuccessi politici e dal disinteresse della gente, si risveglia di colpo e occupa tutti gli spazi dell’informazione per criminalizzare l’attività venatoria e riguadagnare attenzione e opportunità in un mondo distratto. Basta un pretesto qualsiasi, come per esempio, il tentativo di rinnovare una legge fatta 17 anni fa in un momento in cui la situazione della fauna e dell’ambiente era molto diversa da quella di oggi. Abbandono della collina e della fascia pedemontana hanno creato infatti in pochi anni una situazione alla quale dobbiamo adattare regole e comportamenti. Alcune specie tipiche del nostro paesaggio, caratterizzato dal tradizionale giardino all’italiana, stanno scomparendo. Altre specie hanno colonizzato quelle foreste che hanno preso il posto dei campi di grano. Cambiano fauna e territorio, devono cambiare regole e comportamenti. E anche la caccia cambia: sempre più l’attività venatoria deve mettersi al servizio della società. La caccia come strumento di gestione e conservazione delle specie selvatiche e dell’ambiente.
Cos’è la caccia?
E’ stato il primo tentativo dell’uomo di organizzarsi in gruppi sociali. E’ stato grazie alla caccia che sono nati il linguaggio articolato, le prime forme di società, , le prime raffigurazioni dell’arte murale, il primo sospetto di Dio. E’ stata la prima possibilità di sopravvivenza in una natura ostile, poi strumento di progresso tecnologico troppo spesso rivolto, purtroppo, alla guerra. Per alcuni secoli – e ancora oggi- la caccia è stata considerata attività fisica all’aria aperta per temprare l’uomo alle difficoltà. Per l’antropologo di oggi la caccia è la risposta culturale all’istinto di aggressività. Per altri è invece metafora poetica della vita e della morte. Forse è tutte queste cose insieme, ma oggi la caccia è soprattutto attività di controllo consapevole e gestione delle specie selvatiche.
Cacciatori d’Europa
Sono queste le nuove regole condivise dal mondo scientifico e da quello agricolo, dalle organizzazioni dei cacciatori rappresentate dalle associazioni venatorie nazionali e da organismi internazionali: il C.I.C. (che raggruppa con fini di conservazione tutti i Paesi del mondo) e la FACE che riunisce tutti i cacciatori d’Europa.
I cacciatori danno il loro generoso contributo nei convegni scientifici, apportando le proprie testimonianze e i risultati di ricerche condotte sul campo secondo le indicazioni e le richieste dei tecnici faunistici delle provincie e degli ATC, e degli istituti preposti allo studio e al controllo della fauna selvatica, delle università.
Ohne Jagd, kein Wild
I cacciatori della Germania, Austria e Svizzera tedesca fanno girare un adesivo verde con un semplice slogan: Ohne Jagd kein Wild. Il che significa alla lettera che senza caccia non c’è nemmeno la fauna selvatica. E’ vero. Lo dimostra cosa è accaduto nel cantone di Ginevra all’indomani di uno sciagurato referendum che abolì la pratica venatoria. Da allora, per evitare che le specie in eccesso arrechino danno alle altre specie e all’ambiente, deve periodicamente intervenire l’esercito.
Nessuno lo dice pubblicamente, ma sono lontani i tempi in cui il controllo delle specie selvatiche nelle aree protette era tabù. Oggi si spara in tutti i parchi, come extrema ratio, per il controllo delle specie in eccesso onde evitare danni alla stessa fauna selvatica, al patrimonio forestale e al lavoro e alla produzione dell’uomo. A volte sono le guardie dei parchi a sparare, altre volte sono gli stessi cacciatori particolarmente esperti. Questa pratica viene erroneamente – e spesso maliziosamente - definita “caccia”. E’ invece un’attività di controllo svolta secondo le indicazioni delle scienza e di chi ha la responsbailità delle aree protette.
La caccia è naturale
L’uomo utilizza per la caccia il naturale istinto predatorio di alcuni animali, come il cane e il falco. Spesso, il falco (o altrove il ghepardo) è addirittura l’arma che l’uomo usa in queste discipline venatorie. In natura, ogni specie vive a danno di altre specie. Gli erbivori, tanto per fare un esempio, sono preda e alimento dei carnivori. E a loro volta gli erbivori si nutrono di altre specie, dotate di vita propria, soggette anch’esse al ciclo della nascita, della vita e della morte. E’ una legge naturale alla quale obbediamo anche noi.
Ed è giusto e naturale che il frutto di una giornata di caccia venga consumato a tavola. La selvaggina è cibo sano, privo di colesterolo, che proviene da animali in continuo movimento. Il consumo di selvaggina aiuta anche la bilancia dei pagamenti. Grazie alle tonnellate di carne che proviene da boschi, colline e paludi, ogni anno evitiamo di importare dall’estero altrettante tonnellate di carni provenienti da allevamenti al chiuso: bestiame vaccino, polli, maiali.
La caccia a tavola sta tornando di moda. A Milano, in un elegante circolo cittadino, ogni anno personalità della politica, degli affari, del mondo produttivo, del giornalismo si riuniscono per condividere un rito che risale alle origini dell’uomo: gustare insieme le carni di selvaggina. E’ quello che facevano i nostri antenati cacciatori-raccoglitori per consumare insieme ad altri gruppi sociali il frutto di cacciate collettive. Allora non c’erano i frigoriferi e la carne doveva essere consumata sul momento. Era un grande momento sociale che serviva a stringere alleanze, combinare matrimoni ed evitare i rischi dell’endogamismo, ed a volte erano occasione di trasgressioni collettive.
La caccia è gestione
Abbiamo detto: caccia a tavola. Ma per godere dei frutti della caccia, occorre che il cittadino cacciatore raccolga soltanto il frutto di un capitale che non può essere intaccato, ma da lui stesso sempre mantenuto sano ed abbondante perché possano goderne anche i nostri figli. Un capitale che non è fatto solo di numeri, ma di colonie che devono mantenere intatta la loro struttura e vivere in un rapporto ottimale con le altre specie selvatiche, con l’ambiente naturale e con il lavoro dell’uomo. Ma per prima cosa occorre sapere tutto su quelle specie sulle quali si deve operare. Queste, per prima cosa, vanno censite. Ogni anno – nel caso della fauna migratoria - i cacciatori catturano uccelli, raccolgono dati, e informazioni che scambiano con altri cacciatori e organismi scientifici di altri Paesi del Paleartico occidentale. Solo in questo modo si può sapere se una specie è in regresso o se sta attraversando un periodo di grande prosperità. Nel caso della fauna stanziale e in particolare delle popolazioni di ungulati, i cacciatori scendono in campo e raccolgono dati sull’esempio del pastore che deve sapere quando e come raccogliere i frutti del gregge. Ma non basta: la natura selvaggia, costretta dall’uomo ormai da diecimila anni in ambiti circoscritti, non sempre riesce a conservare l’ equilibrata struttura di una popolazione, con il giusto rapporto fra sessi e classi d’età. Il cacciatore, servendosi di diverse metodologie e impegnandosi anche fisicamente, deve non solo ”contare” i capi, ma controllare che non ci siano squilibri in quei rapporti interspecifici ritenuti giusti dagli istituti scientifici per una popolazione di un determinato territorio. E questo è un lavoro che il cacciatore fa in maniera volontaria e senza percepire alcun compenso. Il suo premio sarà partecipare alle gestione.
I miei cani non sono ausiliari, ma compagni di caccia: attenti gioiosi ed altruisti..
I MIGLIORI COMPAGNI DI CACCIA.