Secondo vari studi, sebbene comportamenti di disturbo siano riscontrabili anche nelle normali relazioni interpersonali, un ruolo chiave che spinge ad agire come troll nelle comunità virtuali è la sensazione di anonimato che molti utenti percepiscono durante la navigazione su internet.
Poiché la definizione stessa di troll non è condivisa, cosa spinga un utente ad agire come tale è oggetto di dibattito. Alcune motivazioni:
- Ricerca di attenzione: dominare la discussione incitando l'astio e dirottando efficacemente l'attenzione verso di sé.
- Divertimento o satira: irridere chi si infervora seriamente e perde tempo per le parole volutamente provocatorie di un totale sconosciuto, provocando grandi discussioni con poca fatica (si veda anche teoria del domino).
- Disagio personale: reazione a situazioni di disagio familiare, scolastico, finanziario o relazionale; per esempio combattendo sentimenti di inferiorità attraverso l'esperienza di controllare un ambiente.
- Ragioni economiche: sfruttare la figura dei troll come mezzo di marketing per attrarre utenti e discussioni in una comunità o far parlare di sé.
- Modificare l'opinione: ostentare opinioni estreme per fare in modo che le proprie vere opinioni, poi, sembrino moderate, e convincere quindi un gruppo di utenti a seguirle.
- Combattere il conformismo: rompere la chiusura e il conformismo del gruppo agendo con una "terapia d'urto".
- Attaccare un utente o un gruppo: agire personalmente contro un soggetto o gruppo di soggetti per ripicca, gelosia, non condivisione di idee o altra ragione.
- Diminuire il rapporto segnale/rumore: diluire i messaggi informativi in un fiume di messaggi inutili, per far perdere interesse e utilità al gruppo o all'argomento discusso.
- Verificare la robustezza di un sistema: violare le regole e i termini d'uso per controllare se e come gli amministratori/moderatori prendono contromisure
- Ricerca sociologica: studiare il fenomeno per ragioni di ricerca sociologico/scientifica.